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Sto cercando di rialzarmi,
di smuovere il macigno che è il mio pensiero,
quel granito opaco che pesa sulle orbite dei sogni,
quell’eco di mare e tramonti che ancora mi culla
quando la mente si fa tempesta.
Ricordo la Spagna come un affresco bruciato dal sole:
le onde che ci inghiottivano,
la luce che scivolava tra i tuoi capelli come oro liquido,
e le parole che sgorgavano da te, dolci e incandescenti,
promesse sospese come meduse in un acquario invisibile.
Eppure, pochi giorni dopo, il vento ha cambiato direzione,
e tu, fragile come vetro non temprato,
non hai visto il mio cuore,
non hai colto le radici sottili che avevo piantato tra le tue mani.
Hai infranto silenzi, e io ho raccolto le schegge
senza lamentarmi, senza implorare.
Io ho scelto la mia pelle, la mia carne,
la mia anima che trema e resiste,
ma non ho chiuso la porta al ricordo
di quel tuo sorriso che sapeva far fiorire deserti.
Spero ancora, forse stolta o forse saggia,
che un giorno tu comprenda il valore del tesoro che hai lasciato scivolare
tra dita distratte e sguardi incerti.
E allora, quando arriverai, se arriverai,
potresti trovare una città costruita sulle rovine di me stessa:
muri di orgoglio, viali di desiderio contenuto,
piazze di ricordi silenti.
Forse ti accoglierò, forse il vento che mi ha modellata
soffierà troppo forte per lasciarti entrare.
E intanto io cammino sulle spiagge del mio ricordo,
tra maree di speranza e correnti di malinconia,
nuotando ancora tra riflessi di tramonti sospesi,
con il cuore che batte lento, attento,
sapendo che l’amore che porto per me stessa
non è meno intenso delle onde che ci hanno avvolti,
né delle stelle cadute sotto cui abbiamo sognato.